Vecchi Mestieri
Riportiamo l’articolo uscito su INPD’OPLA, un periodico informativo rivolto ai pensionati INPS Gestione Ex INPDAP realizzato nell’ambito del progetto “Home Care Premium 2012”.
“I campanili sono costruzioni che si elevano verso il cielo per essere riconoscibili da lontano e che caratterizzano quasi in modo indelebile l’identità di una comunità, di un luogo e di una appartenenza.
Sono i preziosi custodi delle campane elementi questi legati alla Cristianità ma anche presenti in moltissime culture. Si ritiene che la campana abbia origini lontane e antichissime e pare che, il modello presente nel nostro territorio, fosse conosciuto in Cina alcuni millenni prima della venuta del Cristianesimo.
Secondo una leggenda, la campana con batacchio interno sarebbe un’invenzione italiana: sembra che sia stata introdotta da San Paolino vescovo di Nola nel V secolo anche se non vi è nessun documento che attesti la paternità dell’invenzione al Santo. In ogni caso, solo nell’ottavo secolo le chiese e le pievi incominciano ad essere dotate di campane e vengono, di conseguenza, eretti i primi campanili che, dopo il Mille, si diffonderanno sempre più. Naturalmente, col passare del tempo anche l’arte dei fonditori si è andata affinando facendo emergere differenziazione di suono fra un campanile e un altro. Non era raro, nelle nostre campagne, riconoscere da quale chiesa provenisse il rintocco del mezzogiorno. Il suono delle campane ha avuto un ruolo fondamentale nella vita dei cittadini: i rintocchi gioiosi per celebrare una festa liturgica o il rintocco mesto che accompagna un defunto, ma anche negli eventi più significativi della società. Chi non ricorda la celebre frase di Pier Capponi quando si oppose alla richiesta di sottomissione del re Carlo VIII rispondendogli “Se voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane“. Già le campane! con cui richiamare alle armi la popolazione, minacciando una rivolta popolare contro l’invasore. Anche durante l’alluvione del Po la gente fu avvertita del pericolo imminente dal suono di tutti i campanili.
Ma non si può parlare di campane senza pensare ai Campanari che con passione e dedizione si dedicano a questa arte che forse va scomparendo soppiantata da un mezzo meccanico od un nastro registrato.
Per saperne qualcosa in più abbiamo intervistato una vera scuola di Campanari che ancora oggi opera sul nostro territorio.
L’appuntamento è a San Lazzaro dove il Signor Mirko Rossi, Presidente dell’Unione Campanari Bolognesi ci è venuto a prendere per portarci proprio sul campanile della chiesa di San Cristoforo a Ozzano.
La prima piacevole sorpresa è il campanaro, un ragazzo allegro e gioviale, che con entusiasmo desidera farci partecipi di questa sua passione .
Esordisce con la frase: “L’ Italia è la terra dai mille piatti, dai mille vini e dai mille modi di suonare le campane.“ E si attarda a spiegarci che le campane rintoccano diversamente da zona a zona e che i concerti sui campanili di ogni paese si differenziano l’uno dall’altro. Questo dipende soprattutto dall’ accordo dei concerti, dalla dimensione delle campane ma anche dalla lega metallica e dalla qualità della fusione. Così impariamo che il bel suono argentino lo dà la quantità di stagno che viene fuso col rame per ottenere il bronzo. Deve avere una percentuale almeno del 22% perché con poco stagno la campana risulta tenera e il suono è spento e poco ardente quindi non si diffonde a lungo nell’aria ma si ferma subito.
Il timbro invece dipende dalla maestria dei fonditori che devono dare la forma alla campana: più grossa verso il punto di battuta che, progressivamente, si assottiglia andando a formare il ventre per poi chiudersi con l’asola del batacchio. L’armonia è l’insieme di questi due elementi unito all’abilità del campanaro che sarà l’artefice di questo meraviglioso insieme di “din don den dan” che si diffonderanno nell’aria con perfetta progressione quasi a rincorrersi per poi unirsi in un abbraccio.
Mentre l’auto prosegue la sua corsa verso Ozzano, le domande si accavallano e così impariamo che la campana è fragilissima e a noi sembra strano che possa bastare un colpo di martello per creparla e allora addio bel suono limpido e argentino!
Mirko non si stanca di raccontare né si meraviglia delle nostre domande e, con le sue risposte, ci trasmette entusiasmo e insieme gioia di sapere. Gli chiediamo come è nata questa sua passione e quello che ci racconta è una nuova sorpresa.
“Sono nato alla Croce del Biacco, all’ombra di un campanile, ma non sono figlio d’arte“ – ci precisa poi continua – “ Fin da ragazzino ho avuto dimestichezza con la cella campanaria “ e ce ne spiega il motivo.
“E’ una vecchia consuetudine quella che i campanari abbiano sempre a disposizione del buon vino, …neanche noi lo disdiciamo…” Sembra quasi confidarci un segreto poi come per scusarsi, ridendo, continua ”Ci sono tanti detti popolari e proverbi che lo ricordano!” E ce ne dice un paio in dialetto poi facendosi serio continua – ”Purtroppo, soprattutto nei tempi antichi, i campanari bevevano più del necessario e questo è stato qualche volta motivo di incidenti.” Fa una breve pausa, forse a cacciare un triste ricordo, poi continua :” Sì! Suonare le campane può essere pericoloso e, oltre alla passione, occorre dimestichezza e tanta prudenza. Ma torniamo a come è nata questa mia passione.”
Adesso sorride divertito al vecchio ricordo: “ Oltre al vino però c’è sempre stata l’usanza di mangiare qualcosa insieme quando si finisce di suonare. Quando ero ragazzino era la moglie del campanaro che preparava queste merende, ma ero io che le portavo sulla cella campanaria….Vedendo suonare ho cominciato ad interessarmi, a provare e così poco alla volta sono diventato campanaro…..”
Nel frattempo abbiamo raggiunto la meta: davanti alla chiesa ci aspetta Luca e insieme cominciamo a salire le ripidissime ed accidentate scale fino alla sommità. Lo spettacolo che ci si presenta è bellissimo: così viste da vicino le quattro campane, la piccola, la mezzana, la mezzanella e la grossa, sembrano enormi e dalla finestra il panorama sulla campagna primaverile si sussegue tra prati e alberi fino alle colline bolognesi. Ci raggiungono via via Simone, Luca, Giovanni, per ultimo Andrea che viene da Faenza. Tutti hanno qualcosa da ricordare e raccontare sorridendo e scherzando tra loro. Un gruppo affiatato, coeso, solidale. Ci presentano le campane: La grossa esce dalla fonderia Brighenti e porta la data del 1873, la mezzana invece è una Landi del 1767. La mezzanella e la piccola, datate 1823, fuse da Golfieri sono le più scarse: ”Poco stagno e il loro ‘donnnnn ‘ non si allunga morbido ma fa ‘don on on’ spegnendosi rapidamente. Così non va bene!”
E’ Mirko che modulando la voce ci dà queste spiegazioni tecniche. Poi continua “Alcune campane hanno anche il nome ma al femminile tranne alcune di grande stazza come la grossa quella delle Cattedrale: ‘Al campanòn ed San Pir‘ dove in maggio andremo a suonare un doppio bolognese.”
Con dovizia di particolari ci mostra il ceppo fatto in legno d’olmo che sorregge le campane e parlando in bolognese ci descrive i singoli elementi nominandoli ad uno ad uno quasi accarezzandoli : “la stènga, agl’ uracc, l’ mzòl e soura al scranèl ...” infine ci fa notare che le campane e i cannoni (quelli militari) hanno la stessa nomenclatura: la bocca, la culatta, la capigliera. Strano connubio mi viene da pensare. Non conoscendo nessuno dei due strumenti do tutto per scontato.
Si avvicina il momento in cui la squadra ci dimostrerà come si suonano le campane. Mentre alcuni liberano i batacchi dai loro contrappesi i campanari ci fanno notare dei legni obliqui che fungono da limite protettivo. Infatti è contro questi che i campanari appoggiano la spalla senza mai avanzarli altrimenti l’orlo della campana e la testa del campanaro verrebbero a contatto con i rischi facilmente immaginabili. Per mostrarci la pressione che il corpo esercita sulla stanga Mirko si scopre la spalla e tra sterno e costole c’è un grosso callo.
I nostri campanari hanno preso posizione dinanzi a noi con i grossi canapi in mano mentre le campane ci dividono da loro. Dacia, la giovane borsista di INPDAP ed io infiliamo del cotone nelle orecchie e sedute su una panchetta ancorata al muro del campanile attendiamo lo “Scampanellio” che ci hanno preannunciato. Io sono seduta davanti alla grossa, Dacia davanti alla mezzana e tirate dalle corde le campane cominciano ad oscillare sempre più nel silenzio. I campanari, con la coda dell’occhio, seguono il movimento della campana più grossa: è lei che darà il segnale d’inizio dello scampanellio facendo il primo giro completo mentre le altre seguiranno in alternanza tra loro seguendo una cadenza stabilita.
Esistono un testi di “doppi” scritti che appartengono al repertorio tramandato nella memoria da molti anni, i campanari però devono impararli a memoria per eseguirli: una serie di rintocchi che si susseguono con ritmi ben precisi che tra loro si amalgamo fino a formare una melodia. Un momento veramente unico e speciale che ci emoziona profondamente.
La mia iniziale paura, dovuta al vicino roteare della ‘grossa’ e alle oscillazioni del campanile, va scomparendo davanti al festoso suono che si propaga laggiù in basso nella pianura. Ci complimentiamo con i quattro campanari che consideriamo molto bravi. Mirko invece ci fa notare che nell’esecuzione c’erano delle ‘aritmie’. I rintocchi delle campane devono battere con una frequenza regolare tra loro come dovrebbe fare il nostro cuore ed aggiunge un pensiero molto poetico: “Vi siete mai chieste perché il suono delle campane emoziona indistintamente tutti?“ – dopo una pausa prosegue – “In passato il suono della campana è stato il primo e a lungo il solo suono che ha scandito i momenti salienti della vita ed il bambino fin da quando era nell’utero materno ha imparato ad ascoltarlo assieme al battito del cuore della sua mamma, perché il suono metallico è penetrante. Prima il battito del cuore della sua mamma e subito dopo il rintocco della campana.”
Questa immagine, che l’umanità si tramanda, detta da un giovane, la trovo bellissima.
Ora il concerto prosegue spedito e ascoltiamo i diversi doppi bolognesi con l’ iniziale levata seguita dalla scappata, poi il doppio vero e proprio seguito dalla calata e la battuta finale, questa viene stabilita dal campanaro che muove la mezzana e lo fa battendo i piedi per terra .
Poi ci presentano altre tecniche di suono che noi facciamo fatica a comprendere mentre ascoltiamo emozionate le melodie che si snodano limpide e festose.
Il concerto è terminato ma non la serata. Messe a posto campane, corde e batacchi scendiamo nello spazio sottostante: non c’è suonata senza la tradizionale merenda con dolci e ottimo vino. Un’aria di festa e di condivisione a cui partecipiamo insieme. Dacia ed io a fare altre domande e loro con pronte risposte.
L’Associazione Campanari Bolognesi è nata il 21 aprile del 1912 e da poco ha festeggiato il centenario. Fin dall’inizio le donne erano ammesse. Per noi una nuova sorpresa! Ci raccontano della conosciuta famiglia Spadoni di Imola perché oltre al babbo anche tre delle sei figlie e due dei tre maschi suonano le campane e di come la Diocesi tenda a valorizzare questa arte che sicuramente a Bologna per ora non va scomparendo. Ci spiegano che tra campanari e Fede Cristiana c’è correlazione e non può essere diversamente. Considerano le campane un richiamo verso Dio.
Infine una cosa che mi ha divertito all’inizio ma poi mi ha fatto pensare. Ai campanari piace gareggiare tra loro e per questo ci sono quattro categorie, dalla prima quella dei bravissimi, alla quarta diciamo quella dei principianti. Non ci sono concorsi o attestati per stabilire in quale categoria inserirsi . Ogni squadra è libera di entrare nella categoria che crede ma da questa non potrà mai più retrocedere. E’ strategia della squadra stabilire il proprio giusto valore per poi poter arrivare primi in quella categoria piuttosto che inserirsi nella categoria superiore per essere poi eterni e ‘beffeggiati’ ultimi. Mi sembra un bell’insegnamento di vita.
Impariamo che i campanari di Westminster a Londra, sono tutti baronetti, “Qualcuno ha mai pensato di nominarvi ‘Cavalieri della Repubblica?” E’ l’ultima frase che pronunciamo suscitando l’ ilarità di tutti.
Si è fatto tardi e così questa esperienza si conclude; salutiamo Giovanni, Luca, Andrea, Simone e Mirko per la loro bravura e per la loro affabile disponibilità con la promessa che nei primi giorni di Maggio andremo a sentirli suonare in San Pietro. In quel campanile particolare e interessante potremo vederli manovrare le campane stando sulle travi. Un altro doppio Bolognese diverso che sicuramente ci porterà nuove emozioni e ci entusiasmerà.”
Mariella Fenzi